(Cons. Stato, sez. V, ord. 26 aprile 2021, n. 3299)
Con una limpida motivazione, il Consiglio di Stato conferma che l’escussione della garanzia provvisoria rappresenta, nell’ambito degli appalti pubblici, una misura punitiva e non risarcitoria, richiamando un orientamento formatosi sotto il vigore del precedente codice ed alla luce di due pronunce della Adunanza Plenaria (n. 8 del 4 agosto 2005 e n. 34 del 10 dicembre 2014).
Dal confronto tra il codice del 2006 e quello del 2016 è emerso che la fattispecie sanzionabile era più estesa nel previgente codice, rispetto a quello attuale, dal momento che l’art. 48 del d.lgs. 163/06 trovava applicazione anche nei confronti dei concorrenti estratti a sorte per la verifica dei requisiti di ordine speciale.
Si è quindi posto il problema di applicare a tale questione, annoverabile nella materia penale in senso lato, il principio della retroattività della lex mitior sopravvenuta.
La sez. V del Consiglio di Stato, con la richiamata ord. 26 aprile 2021, n. 3299, ha sollevato la q.l.c. dell’art. 93, co. 6 del d.lgs. n. 50/2016, in combinato disposto con l’art. 216 dello stesso codice, per contrasto con gli artt. 3 e 117 co. 1 Cost.
La motivazione dell’ordinanza fa ampio uso dei risultati a cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui:
- il fondamento del principio del principio di retroattività della legge penale più favorevole va individuato, piuttosto che nell’art. 25, co. 2 Cost, nel combinato disposto degli artt. 3 e 117 co. 1 (sentenze n. 236 del 2011, n. 215 del 2008 e n. 393 del 2006);
- il principio di retroattività della lex mitior si applica anche alle sanzioni amministrative aventi natura e funzione punitiva (sentenza n. 63 del 2019).
Alla luce dei precedenti della Consulta, non sembra irragionevole pronosticare un esito coerente con le premesse dell’ordinanza e, quindi, con il riconoscimento della applicabilità del principio generale dell’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole.