(Cons. Stato, Ad. Plen. 25 maggio 2021, n. 8)
Può ritenersi perfettamente riuscito il compito che la sezione rimettente aveva assegnato alla Plenaria, di ricostruire i principi e le regole comuni da applicare al commissario ad acta.
Con una completa ricognizione della pregressa giurisprudenza, costituzionale e amministrativa, la Plenaria chiarisce la natura giuridica del commissario ad acta (ausiliario del giudice e non organo straordinario della PA), il fondamento del suo potere (dare attuazione alle pronunce del giudice) e il regime dei relativi atti.
Al termine di un percorso argomentativo davvero esaustivo, i principi formulati vengono così espressi:
a) il potere dell’amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall’ordinanza cautelare fintanto che l’altro soggetto non abbia concretamente provveduto;
b) gli atti emanati dall’amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati di per sé affetti da nullità, in quanto gli stessi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l’insediamento del commissario.
c) gli atti adottati dal commissario ad acta non sono annullabili dall’amministrazione nell’esercizio del proprio potere di autotutela, né sono da questa impugnabili davanti al giudice della cognizione, ma sono esclusivamente reclamabili, a seconda dei casi, innanzi al giudice dell’ottemperanza, ai sensi dell’art. 114, co. 6, c.p.a. ovvero innanzi al giudice del giudizio sul silenzio, ai sensi dell’art. 117, co. 4, c.p.a.
d) gli atti adottati dal commissario ad acta dopo che l’amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, ovvero quelli che l’amministrazione abbia adottato dopo che il commissario ad acta abbia provveduto, sono da considerare inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse, a seconda dei casi, al giudice dell’ottemperanza o al giudice del giudizio sul silenzio.