(TAR Lazio-Roma, sez. II-bis, 22 luglio 2021, n. 8854)
L’istituto del silenzio-diniego introduce un certo margine di incertezza nel rapporto tra la PA e il cittadino. Una volta scaduto il termine, e perfezionatasi la fattispecie, il cittadino infatti nulla sa delle motivazioni che stanno alla base del diniego.
Il che appare in contrasto con l’evoluzione normativa della disciplina sostanziale, in cui si registra una certa marginalizzazione del silenzio-diniego, a favore del silenzio-assenso o del silenzio-inadempimento.
Anche in ambito processuale, la tutela diventa più ardua, visto che il privato è costretto a formulare ricorsi al buio, stante l’assenza di motivazioni a sostegno del diniego.
Proprio tale aspetto ha indotto il TAR per il Lazio ha sollevare una q.l.c., evidenziando come il silenzio-diniego previsto dal TUE si ponga in contrasto con i seguenti parametri normativi:
- art. 2 della l. n. 241/90, mancando in tal caso l’obbligo di provvedere;
- art. 3 della l. n. 241/90, visto che nessuna motivazione viene data al cittadino;
- art. 7 della l. n. 241/90, dal momento che nessun procedimento ha concretamente luogo;
- art. 10-bis della l. n. 241/90, perché non vengono comunicati i motivi ostativi;
- principio di imparzialità, non potendo il privato conoscere le ragioni del rigetto, in relazione ad esempio ad una diversa domanda di altro soggetto;
- principio di buon andamento, mancando totalmente un confronto con il cittadino;
- principio di trasparenza, non potendosi capire come l’Amministrazione abbia maturato il proprio convincimento;
- principio di ragionevolezza, perché il silenzio potrebbe anche dipendere da una scarsità contingente di risorse, piuttosto che per ragioni attinenti alla infondatezza della domanda;
- principio di separazione dei poteri, perché il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione ed individuare le motivazioni discrezionali che dovrebbero escludere la sussistenza della doppia conformità.