(Cass. civ., SSUU, 9 dicembre 2022, n. 36057)
Una sentenza davvero ben motivata, che non si trincera dietro a sterili formalismi, ma trova il coraggio di giustificare la propria (correttissima) posizione invocando principi generali e sostanziali come il diritto di difesa, la conservazione degli atti processuali, e addirittura la leale collaborazione tra avvocati e magistrati.
L’argomento, peraltro, non era affatto facile e si prestava ad essere affrontato in modo formalistico, perché si trattava di verificare se una procura estesa su foglio separato, mancante di qualunque riferimento alla sentenza impugnata in cassazione, fosse idonea a rispettare il criterio di specialità previsto dall’art. 365 c.p.c..
La sentenza è apprezzabile, anzitutto, per la sua struttura: vi è una esaustiva riepilogazione dei dubbi sollevati dall’ordinanza interlocutoria, ma soprattutto una ricca e puntuale ricostruzione del quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali succedutisi nel tempo.
L’esposizione degli argomenti è graduale e chiara, e si conclude con un capitolo appositamente dedicato alla soluzione della questione controversa, dove vengono brillantemente superate le problematiche sollevate dalla Sezione rimettente.
Dal punto di vista dei contenuti, la sentenza offre spunti di notevolissimo interesse laddove enfatizza la centralità del diritto di difesa (Art. 24 Cost.) per limitare al massimo gli ostacoli di natura procedurale che impediscono al giudice di pronunciarsi nel merito. E nel motivare quella che le Sezioni Unite definiscono una “indiscutibile affermazione”, la sentenza offre agli interpreti un’autentica perla, da scolpire a caratteri cubitali in tutte le aule di giustizia, ad integrazione della massima secondo cui la legge è uguale per tutti: “il processo deve tendere per sua natura ad una decisione di merito, perché risiede in questo l’essenza stessa del rendere giustizia”.
Ma non si ferma a questa prima, fondamentale spiegazione, perché la soluzione viene giustificata anche in base al principio di collocazione topografica della procura, al principio di conservazione degli atti giuridici e, non ultimo, al principio di leale collaborazione tra avvocati e magistrati.
Anche in quest’ultimo richiamo, la sentenza colpisce per la chiarezza e la profondità del messaggio inviato dal massimo organo della giurisdizione: “l’esercizio della giurisdizione non può avere luogo senza la reciproca e continua collaborazione tra avvocati e magistrati, che si deve fondare sul principio di lealtà; per cui, ove il professionista tradisca questa fiducia, potrà certamente essere chiamato a rispondere, in altra sede, del suo operato infedele; ma non si deve trarre dall’esistenza di possibili abusi, che pure talvolta si verificano, una regola di giudizio che abbia come presupposto una generale e immotivata sfiducia nell’operato della classe forense”.
Inutile sminuire il senso di autentica soddisfazione che si prova nel leggere simili affermazioni, perché sembrano davvero provenire da quel piano di equilibrata Giustizia a cui tutti noi ci affidiamo nell’assolvere quotidianamente i doveri di assistenza in giudizio.
E mai come oggi si avverte l’esigenza di un richiamo alla leale collaborazione tra operatori del diritto, come mezzo al fine per giungere all’obiettivo finale che la stessa sentenza descrive in termini di “rendere giustizia”.
Non possiamo che augurarci la massima diffusione e applicazione dei principi illustrati nella sentenza in commento.