(Cons. Stato, sez. VII, 3 gennaio 2023, n. 109)
Una sentenza chiara e concisa, quindi doppiamente apprezzabile.
Con una efficace ricostruzione della ratio sottesa al combinato disposto degli artt. 29, co. 1 e 31, co. 2 del DPR 380/01, il Consiglio di Stato ha stabilito che “il proprietario incolpevole, ancorché tenuto a prestare la sua collaborazione per la rimozione materiale dell’abuso in forza della sua relazione con la res, non può essere perciò stesso destinatario delle sanzioni pecuniarie previste nel Capo I del Titolo IV del medesimo testo normativo le quali sono dirette a colpire i responsabili dell’abuso così come in esso individuati”.
Tale conclusione viene argomentata facendo leva sul fatto che la sanzione pecuniaria ha natura propriamente afflittiva, e non mira solo a contrastare l’aumento di valore dell’immobile: “Per motivare l’esborso richiesto al proprietario viene talvolta evocato l’argomento secondo cui la misura pecuniaria non sarebbe diretta a punire un colpevole ma a sterilizzare l’aumento di valore dell’immobile conseguente all’abuso da cui il primo trarrebbe un “obiettivo” beneficio. Tale giustificazione non appare, tuttavia, coerente con il dato normativo e con la realtà economica. Infatti, sia la sanzione pecuniaria semplice, prevista dall’art. 37 comma 1 del TUE, che quella sostitutiva di cui all’art. 33 comma 1 sono commisurate al doppio dell’aumento del valore dell’immobile e, quindi, non si limitano alla neutralizzazione del maggior valore conseguente all’abuso ma mirano a reprimere e dissuadere dalla commissione di illeciti edilizi ben al di là di quello che può essere il vantaggio derivante dalla sua realizzazione. E, d’altro canto, l’acquirente in buona fede non beneficia affatto del maggior valore economico dell’abuso in quanto ne ha già pagato il valore al suo dante causa confidando nella dichiarazione di regolarità edilizia che questi è tenuto (a pena di nullità) a rendere nell’atto di trasferimento ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 380 del 2001.”.
Come si vede, la sentenza muove dalla constatazione secondo cui il fondamento della sanzione pecuniaria non è lo stesso dell’obbligo di ripristino.
La sanzione pecuniaria, a differenza dell’obbligo di collaborazione per la demolizione, punta a reprimere e a punire il responsabile con il pagamento di una somma pari al doppio dell’incremento di valore dell’immobile.
E anche se la sentenza non lo chiarisce, il motivo per cui viene escluso che la sanzione pecuniaria possa essere inflitta al proprietario incolpevole è che la punizione, proprio per la sua funzione rieducatrice, per definizione non può che dirigersi nei confronti del soggetto che ha materialmente commesso il fatto vietato, il quale è pertanto l’unico a dover e a poter essere rieducato.
Pensare diversamente significherebbe violare il principio generale per cui la responsabilità penale è personale (art. 27 Cost.).