Scia e tutela del terzo: qualcuno dubita della Corte costituzionale

(Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 2023, n. 2371)

Sulla tutela del terzo in materia di SCIA edilizia, come noto, la sentenza della Corte costituzionale aveva offerto un quadro ricostruttivo piuttosto esaustivo.

In particolare, la sentenza n. 45/2019 aveva stabilito che:

In particolare, nella prospettiva dell’interesse legittimo, il terzo potrà attivare, oltre agli strumenti di tutela già richiamati, i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, ai sensi dell’art. 21, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (in questo caso «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»); potrà sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi dell’art. 21, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli artt. 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia. (Testo A)», ed espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis. Esso avrà inoltre la possibilità di agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (l’art. 21, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990 fa espressamente salva la connessa responsabilità del dipendente che non abbia agito tempestivamente, ove la segnalazione certificata non fosse conforme alle norme vigenti).

La sentenza in commento, invece, ha ritenuto di dover integrare la statuizione della Consulta, condizionando l’esercizio di uno dei rimedi attribuiti al terzo (la sollecitazione dei poteri di vigilanza ex art. 27 del DPR n. 380/01) alla ricorrenza di un ulteriore presupposto.

Questo il passaggio della motivazione:

26.1. In maniera analoga, la Corte costituzionale, nella più volte ricordata sentenza n. 45 del 13 marzo 2019, dopo aver ammesso l’esistenza di profili di lacuna legislativa che rendono non piena la tutela del controinteressato, ha tuttavia ricordato come essa vada pur sempre collocata «in una prospettiva più ampia e sistemica che tenga conto dell’insieme degli strumenti apprestati[…]», tra i quali menziona «i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione, ai sensi all’art. 21, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990, come, ad esempio, quelli in materia di edilizia, regolati dagli articoli 27 e seguenti del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 38, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”, espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis» (§10.1.).

27. Ma tale richiamo non può che essere inteso nel senso di imporre l’intervento repressivo ogniqualvolta risulti chiaro lo “sconfinamento” rispetto all’ambito definitorio del titolo utilizzato, sicché l’opera non può che essere considerata sine titulo ( si pensi alle difficoltà di inquadramento delle opere non destinate a soddisfare esigenze temporanee e contingenti installate con una semplice comunicazione inizio lavori –c.i.l.- ex art. 6, comma 1, lett.- e.bis), ovvero all’utilizzo di una comunicazione inizio lavori asseverata –c.i.l.a. – ex art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 per interventi che dagli accertamenti risultino assimilabili a nuove costruzioni); consentendolo solo all’esito della decisione di annullare gli effetti della s.c.i.a. per tutte le rimanenti violazioni, anche di natura urbanistica.

La sentenza non brilla per chiarezza ma – come qualche commentatore ha già avuto modo di evidenziare – sembra condizionare l’esercizio dei poteri repressivi in sede di vigilanza edilizia solo al ricorrere delle condizioni per annullare la SCIA.

Vedremo se tale orientamento verrà confermato dalla successiva giurisprudenza.