L’art. 36 del DPR n. 380/01 non è incostituzionale

(Corte costituzionale, 16 marzo 2023, n. 42)

La Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato inammissibile, e non rigettato nel merito, la q.l.c. posta dal TAR per il Lazio con l’ordinanza n. 8854 del 22 luglio 2021 .

Secondo il TAR per il Lazio, il silenzio-diniego previsto dall’art. 36 del TUE si porrebbe in contrasto con i seguenti parametri normativi:

  • art. 2 della l. n. 241/90, mancando in tal caso l’obbligo di provvedere;
  • art. 3 della l. n. 241/90, visto che nessuna motivazione viene data al cittadino;
  • art. 7 della l. n. 241/90, dal momento che nessun procedimento ha concretamente luogo;
  • art. 10-bis della l. n. 241/90, perchè non vengono comunicati i motivi ostativi;
  • principio di imparzialità, non potendo il privato conoscere le ragioni del rigetto, in relazione ad esempio ad una diversa domanda di altro soggetto;
  • principio di buon andamento, mancando totalmente un confronto con il cittadino;
  • principio di trasparenza, non potendosi capire come l’Amministrazione abbia maturato il proprio convincimento;
  • principio di ragionevolezza, perché il silenzio potrebbe anche dipendere da una scarsità contingente di risorse, piuttosto che per ragioni attinenti alla infondatezza della domanda;
  • principio di separazione dei poteri, perché il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione ed inviduare le motivazioni discrezionali che dovrebbero escludere la sussistenza della doppia conformità.

La Consulta, invece, ha ritenuto che il TAR non avesse fornito adeguata motivazione riguardo ad una serie di aspetti sostanziali e processuali, tenuto conto del quadro normativo e giurisprudenziale ricostruito dalla stessa Corte.

In particolare, secondo la sentenza in commento, il TAR non avrebbe considerato, né evidenziato:

  • il “complessivo rapporto amministrativo in cui si inseriscono l’istanza di sanatoria e il suo rigetto tacito”, omettendo quindi di fornire adeguata motivazione riguardo alle ragioni che inducono a ritenere “ancora distonica la norma sul silenzio significativo rispetto alle garanzie costituzionali del giusto procedimento” (punto 4.1.);
  • le “ragioni che consentono la comparazione tra l’ordinario istituto dell’accertamento di conformità e le eccezionali fattispecie del condo edilizio” (punto n. 4.2.);
  • il problema della separazione dei poteri sarebbe superato dall’orientamento del giudice amministrativo, secondo cui – essendo il potere di sanatoria vincolato – il suo annullamento implica la riedizione dello stesso da parte della PA “da esercitare secondo gli ordinari obblighi conformativi” (punto 4.3.).

La sentenza non persuade appieno.

In realtà il TAR aveva compiutamente preso posizione sui punti che la Consulta ha ritenuto insufficientemente motivati, evidenziando profili di criticità nient’affatto privi di fondamento.

Si pensi alla questione del rito, ossia della impossibilità nel giudizio annullatorio di chiedere l’accertamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, che invece il ricorrente potrebbe avanzare nel rito del silenzio (art. 31, co. 3 cpa).

La Corte costituzionale ha risposto a tale questione sostenendo che il TAR può annullare il silenzio-rifiuto e che la PA potrà adottare un nuovo provvedimento attenendosi agli obblighi conformativi che derivano dal giudicato.

Il che significa, per il ricorrente, la necessità di dover sottostare agli esiti ed ai tempi della riedizione del potere amministrativo, con tutti i rischi e le lungaggini che ne possono derivare.

La tutela offerta dal giudizio contro il silenzio-inadempimento, invece, sarebbe stata molto più incisiva e garantista per il cittadino.

È quindi la sentenza della Corte costituzionale ad apparire priva di motivazione, perché il quadro normativo e giurisprudenziale che viene fornito a supporto della decisione non supera i dubbi sollevati dal TAR.

Peraltro è curioso che il redattore della sentenza sia un giudice amministrativo (Patroni Griffi).