Le Sezioni Unite e l’ambito applicativo del silenzio-assenso

(Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2020, n. 13865)

Come noto, la consolidata giurisprudenza ritiene che il mero decorso del tempo non sia sufficiente ad integrare il provvedimento silenzioso, pur in presenza di una espressa previsione normativa (come ad esempio l’art. 20 del TUE), se non è “qualificato” dalla contemporanea ricorrenza di tutti gli elementi della fattispecie legale.

L’orientamento giurisprudenziale in questione, inoltre, distingue i provvedimenti concessori – per i quali il meccanismo del silenzio-assenso non sarebbe ammissibile – dai provvedimenti autorizzatori, dove invece la PA potrebbe utilizzare il silenzio.

Questa tesi giurisprudenziale è stata però messa in dubbio da una recente sentenza della Corte di Cassazione (sez. III, 8 luglio 2020, n. 13865), che ha rimesso la questione al Primo Presidente affinchè valuti l’assegnazione alle Sezioni Unite.

Il nucleo centrale della critica risiede nel fatto che la giurisprudenza amministrativa sembra aver interpretato restrittivamente l’art. 20 della legge n. 241/90, introducendo una distinzione tra concessione e autorizzazione che la norma non contempla.

Questo il passaggio della motivazione: “L’introduzione della distinzione tra atti di concessione e atti di autorizzazione costituisce una vicenda di costruzione giuridica, che mira a ricavare da una norma espressa – il silenzio assenso come generalizzato potenziale esito del procedimento amministrativo – una norma inespressa attraverso una tesi dogmatica, che non appare dotata di supporto quantomeno nella figura del silenzio assenso come novellata. Nella giurisprudenza amministrativa sopra richiamata la scelta appare in effetti assertiva, o comunque dovrebbe trovare sostegno dotato di maggiori specificità nomofilattiche”.

In effetti non si può negare che l’orientamento consolidato in seno alla giurisprudenza amministrativa sia quanto meno “assertivo”, e che la distinzione tra concessione e autorizzazione costituisca un modo indiretto per ampliare le ipotesi eccezionali in cui il silenzio-assenso non si applica, secondo quanto previsto dall’art. 20, co. 4 della legge n. 241/90.

E proprio su questo punto la III Sezione ritiene che tale questione, “volta a verificare se (…) e in base a quali presupposti un’interpretazione sistematica sia idonea ad inibire la formazione del silenzio assenso al di là dell’ambito del comma 4 del medesimo articolo, costituisce una questione di massima di particolare importanza, dovendosi pertanto rimettere gli atti al Primo Presidente ai sensi dell’art. 274 c.p.c. per la relativa valutazione in ordine alla pronuncia a Sezioni Unite”.

Curioso quindi che la soluzione di un problema ermeneutico evidentemente relativo al plesso giurisprudenziale amministrativo possa essere offerta dalla Corte di Cassazione.