Gli obblighi dichiarativi e l’entropia del sistema

(Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 2022, n. 4708)

La certezza del diritto rappresenta l’obiettivo e, al tempo stesso, il parametro più efficace per valutare gli effetti di una interpretazione normativa.

Se una sentenza offre una opzione ermeneutica del quadro normativo di riferimento che conferisce stabilità e prevedibilità al sistema, allora si può affermare che quel Giudice ha, non solo applicato il diritto, ma anche fatto giustizia.

Non in tutte le sentenze, purtroppo, diritto e giustizia vanno di pari passo.

Nell’ambito degli appalti pubblici, come noto, il perimetro degli obblighi dichiarativi è il classico banco di prova dove testare l’efficacia di una interpretazione delle generiche e vaghe locuzioni normative (vedi ad esempio la nozione di “grave illecito professionale”).

Nella vicenda in esame, un concorrente aveva omesso di dichiarare una risoluzione consensuale intervenuta con un committente pubblico, che peraltro era stata già esaminata in una precedente sentenza del Consiglio di Stato, il quale ne aveva escluso la rilevanza ai fini del giudizio di affidabilità complessiva.

La pronuncia in esame, nonostante si fosse ormai in fase di esecuzione del contratto di appalto, ha invece ritenuto che l’omessa dichiarazione avesse costituito una violazione, non già dell’art. 80, co. 5, lett. c-ter (per la quale occorre un provvedimento di risoluzione), ma dell’art. 80, co. 5, lett. c), che sanziona con l’esclusione dalla gara i gravi illeciti professionali che rendono dubbia la integrità o l’affidabilità del concorrente, interpretata come “norma di chiusura”.

L’effetto di tale scelta interpretativa è piuttosto eloquente, se consideriamo come stella polare la certezza del diritto: il contratto di appalto è stato ritenuto inefficace e la sentenza ha ordinato al committente pubblico di valutare se la risoluzione consensuale non dichiarata in sede di gara possa costituire una causa di inaffidabilità futura dell’operatore.

Niente che non sia giustificabile in base ad una delle interpretazioni ricavabili dal sistema, beninteso, ma si nutrono forti perplessità sulla rispondenza a giustizia di una simile decisione.

Facciamo almeno due scenari possibili, a seconda di come la stazione appaltante deciderà di esercitare il potere attribuitogli dalla sentenza.

Nel primo caso, ad esempio, sarà tentata di non porsi in contrasto con la sentenza e stabilirà che, effettivamente, la risoluzione consensuale dimostra che l’appaltatore è (o sarà) inaffidabile.

Strano, però, che la stazione appaltante non si sia accorta di tale inaffidabilità nel corso della fase esecutiva del contratto, dove sarebbe dovuta emergere una eventuale incapacità dell’appaltatore. La pendenza della fase esecutiva del rapporto, infatti, è il terreno ideale su cui valutare le capacità di un contraente, ma la sentenza preferisce spostare il giudizio dalla concretezza della realtà alla indeterminatezza di una ipotesi del quarto tipo (se avessi saputo della risoluzione avrei subito concluso per la tua inaffidabilità).

Dell’appaltatore, quindi, non si valuta l’operato in base a quanto stabilito nel contratto, ma l’integrità morale, peraltro neanche in base a parametri stabili.

Ci si deve chiedere se questo tipo di indagine tuteli un qualche tipo di interesse pubblico e se, quindi, concorra a realizzare la giustizia.

Il secondo scenario è quello in cui la stazione appaltante, con molto coraggio, concluderà che l’operatore economico – benchè “bugiardo” – comunque sa il fatto suo e potrà concludere l’appalto, nonostante in passato abbia avuto una controversia con altra stazione appaltante.

Nel frattempo, però, il contratto è stato dichiarato inefficace, e questo comporterà l’interruzione del servizio, e probabilmente qualche lavoratore verrà collocato in cassa integrazione guadagni. Quindi insoddisfazione da ambo i lati del rapporto, come prezzo da pagare per una interpretazione del dato normativo.

Può ritenersi giusta una simile conclusione? Gli interessi concreti delle parti vengono sacrificati per garantire una certa applicazione delle norme, quando in realtà sono le norme a dover essere utilizzate come mezzo per garantire la soddisfazione degli interessi umani.

Il sistema, nel complesso, tornerà nella sua posizione iniziale, ma ad un livello superiore di entropia generale. E questo non è mai un risultato positivo.