(Cons Stato, Ad. Plen., 11 ottobre 2023, n. 16)
L’Adunanza Plenaria opta per un approccio rigoroso ad un tema sensibile, in cui la legislazione obiettivamente non aiuta l’interprete.
Con un corposo apparato motivazionale, la Plenaria ha chiarito le conseguenze derivanti dalla commissione di un abuso edilizio, dividendo l’argomento in quattro fasi.
In particolare gli aspetti sui quali si era registrato un contrasto di giurisprudenza riguardavano la necessità di una formale adozione dell’atto di acquisizione al patrimonio del comune, e la possibilità di chiedere una regolarizzazione ex art. 36 del DPR n. 380/01 fino all’adozione delle sanzioni da parte dell’Amministrazione.
La Plenaria ha optato, in relazione ad entrambi i profili, per la via più rigorosa.
Vengono infatti stabiliti i seguenti principi:
a) la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione entro il termine da esso fissato comporta la perduranza di una situazione contra ius e costituisce un illecito amministrativo omissivo propter rem, distinto dal precedente illecito – avente anche rilevanza penale – commesso con la realizzazione delle opere abusive;
b) la mancata ottemperanza – anche da parte del nudo proprietario – alla ordinanza di demolizione entro il termine previsto dall’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, impone l’emanazione dell’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, tranne il caso in cui sia stata formulata l’istanza prevista dall’art. 36 del medesimo d.P.R. o sia stata dedotta e comprovata la non imputabilità dell’inottemperanza;
c) l’atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha natura dichiarativa e comporta – in base alle regole dell’obbligo propter rem – l’acquisto ipso iure del bene identificato nell’ordinanza di demolizione alla scadenza del termine di 90 giorni fissato con l’ordinanza di demolizione. Qualora per la prima volta sia con esso identificata l’area ulteriore acquisita, in aggiunta al manufatto abusivo, l’ordinanza ha natura parzialmente costitutiva in relazione solo a quest’ultima (comportando una fattispecie a formazione progressiva);
d) l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione comporta la novazione oggettiva dell’obbligo del responsabile o del suo avente causa di ripristinare la legalità violata, poiché, a seguito dell’acquisto del bene da parte dell’Amministrazione, egli non può più demolire il manufatto abusivo e deve rimborsare all’Amministrazione le spese da essa sostenute per effettuare la demolizione d’ufficio, salva la possibilità che essa consenta anche in seguito che la demolizione venga posta in essere dal privato;
e) la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001 non può essere irrogata nei confronti di chi – prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 2014 – abbia già fatto decorrere inutilmente il termine di 90 giorni e sia risultato inottemperante all’ordine di demolizione, pur se tale inottemperanza sia stata accertata dopo la sua entrata in vigore.
Sul medesimo tema si era pronunciata, da ultimo, il CGARS con la sentenza n. 569 del 2023, pubblicata sul sito, dove era stata raggiunta una conclusione opposta, sulla scorta di argomenti letterali e sistematici difficilmente contestabili.
Rispetto a tali questioni, l’Adunanza Plenaria non offre obiettivamente soluzioni persuasive, ma chiaramente si percepisce la volontà di dequotare le problematiche ivi esposte e di affrontare in modo rigido la questione.
Tuttavia, se si considerano gli abusi di minore impatto, quali ad esempio i cambi di destinazione d’uso, oppure la tamponatura dei balconi, la soluzione offerta dalla Plenaria sembra incrementare i problemi, piuttosto che diminuirli.
Forse un approccio più orientato al pragmatismo del caso concreto non avrebbe guastato.