Approfondimenti

  • Home
  • Approfondimenti

Le Sezioni Unite avallano la tesi della nullità formale

Sul modo di intendere la nullità oggi disciplinata dall’art. 46 del DPR n. 380/01 si erano in passato formati due orientamenti giurisprudenziali. Secondo la tesi più risalente, la nullità avrebbe dovuto intendersi come formale, in quanto diretta a sanzionare la semplice mancanza della dichiarazione relativa agli estremi della concessione edilizia. Con un orientamento inaugurato nel 2013, invece, la Cassazione ha sostenuto che la nullità avrebbe carattere sostanziale, perché diretta a sanzionare gli atti di trasferimento “non in regola con la normativa urbanistica”, aggiungendo peraltro che la nullità può colpire anche i contratti preliminari (che non hanno effetti traslativi ma solo obbligatori). La tesi della nullità formale conduceva a qualificare la fattispecie in termini di nullità testuale (art. 1418, co. 3). La tesi della nullità sostanziale, invece, la inquadrava nell’ambito della nullità per contrarietà a norma imperativa (nullità virtuale ex art. 1418, co. 1).

Il contrasto giurisprudenziale sopra esposto è stato rimesso alle Sezioni Unite per la sua composizione dalla ordinanza n. 20061 della Sez. II del 30 luglio 2018. La Sezione rimettente ha chiaramente manifestato una preferenza per la tesi della nullità formale, sulla base dei seguenti argomenti: - la nozione di “irregolarità urbanistica” è ampia e dipende da valutazioni opinabili; - la tesi sostanziale conduce a complicazioni in fase applicativa, perché impone all’acquirente di recuperare il prezzo versato al venditore. In particolare, riguardo all’ampiezza della nozione di “irregolarità urbanistica”, la Cassazione ha richiamato la tripartizione dell’abuso (assenza di titolo o totale difformità, variazione essenziale, parziale difformità), facendo  notare come le tre fattispecie siano piuttosto diverse tra loro. Sul punto ha quindi chiesto alle Sezioni Unite di fornire un chiarimento che consenta di capire quale delle tre accezioni di irregolarità (la totale difformità, la variazione essenziale o la parziale difformità) possano determinare la nullità del contratto, ovviamente nell’ipotesi di adesione alla tesi della nullità sostanziale.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate con la sentenza n. 8230 del 22 marzo 2019, nella quale il contrasto è stato composto dando prevalenza alla tesi formalistica, da cui è stato ricavato il seguente principio di diritto: “La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendosi intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”. Tale conclusione è stata raggiunta sulla scorta della seguente progressione argomentativa:

- la tesi sostanziale della nullità urbanistica si prefigge il meritorio scopo di trasferire sul piano dei rapporti civilistici il disvalore espresso dall’ordinamento rispetto al fenomeno
dell’abusivismo; - tale intento non è tuttavia supportato dalla lettera della legge, che rappresenta un limite invalicabile nella attività ermeneutica;
- la nullità in questione non può quindi essere sussunta nella categoria della nullità virtuale, che presupporrebbe l’esistenza di un generale divieto di stipulare atti riguardanti immobili abusivi al dichiarato fine di renderli inutilizzabili;
- né può ritenersi integrata l’ipotesi della nullità per illiceità dell’oggetto, della prestazione o della causa, dal momento che l’oggetto della compravendita non è suscettibile, in sé, di essere valutato come illecito;
- l’indicazione del titolo abilitativo svolge una funzione “essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente”, mentre la conformità della costruzione rispetto al titolo
“esula dal perimetro della nullità”, tanto più che – secondo un “condivisibile principio generale” – i limiti o i divieti alla libera circolazione dei beni devono ritenersi di stretta interpretazione; - la distinzione in tema di variazioni essenziali e non essenziali, elaborata dalla giurisprudenza a proposito del contratto preliminare, affiderebbe le sorti dell’atto “all’arbitrio dell’interprete”, con pregiudizio per la contrapposta esigenza di certezza del traffico giuridico;
- attraverso la dichiarazione che il venditore è obbligato a rendere, il compratore è posto nella condizione di “svolgere le indagini ritenute più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene”;
- l’interesse collettivo ad un ordinato assetto del territorio è adeguatamente tutelato dalla sanzione della demolizione dell’immobile abusivo (art. 31, co. 2 e 3, del DPR n. 380/01), che non risente del trascorrere del tempo, e rispetto alla quale neanche l’eventuale inerzia della PA può valere ad ingenerare una aspettativa giuridicamente qualificata;
- le opposte esigenze di tutela dell’acquirente e di contrasto al fenomeno dell’abusivismo vengono così sintetizzate dalle Sezioni Unite: “in ipotesi di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione, l’acquirente non sarà esposto all’azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell’immobile e onere di provvedere al recupero di quanto pagato, ma, ricorrendone i presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell’interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica”.

Non appare arduo ipotizzare quali saranno i fronti sui quali la soluzione offerta dal Supremo Consesso verrà sottoposta a critica da parte degli interpreti. In primo luogo, la radicale esclusione della illiceità dell’oggetto quando la compravendita riguarda un immobile abusivo si presta, non irragionevolmente, ad essere diversamente opinata, o quanto meno avrebbe richiesto una motivazione assai più robusta rispetto a quella in concreto esposta nella sentenza. Inoltre, la ricostruzione della ratio della norma come rivolta a soddisfare esigenze “essenzialmente informative dell’acquirente”, mostra di preferire un approccio estremamente formalistico alla tematica in esame. Infine, la soluzione che individua nella demolizione (e nelle successive azioni da intraprendere nei confronti del venditore, dopo che la PA avrà esercitato il potere che la legge le attribuisce) la tutela che l’ordinamento appresta nei confronti dell’acquirente, deriva da una opzione di fondo non proprio irresistibile sotto il profilo della coerenza complessiva del sistema, dal momento che riserva ai rapporti orizzontali tra privati una disciplina non perfettamente collimante con quella che l’ordinamento prevede per i rapporti verticali tra PA e cittadino, il cui risultato finale consiste nell’aggravare sensibilmente i costi per l’esperimento dei rimedi da parte dell’acquirente. Daremo conto dei futuri commenti che, senza dubbio, la sentenza stimolerà presso gli interpreti.